Contributo a cura del Dott. Leonardo Gesù – Direttore SGA
fonte: https://scuola.psbconsulting.it
Introduzione al tema
Il presente contributo segue, con proiezione e valore speculare, un precedente approfondimento sul soccorso istruttorio nella materia degli appalti pubblici, pubblicato il 06/09/2023.
Per intuibili ragioni di contenimento dell’odierno contributo, si analizza l’attività della stazione appaltante nell’ipotesi in cui rilevi un errore materiale nei documenti propedeutici e conseguenti allo svolgimento dell’attività negoziale per l’acquisizione dei lavori servizi e forniture, limitandone il perimetro alla dimensione strettamente pubblicistica.
Occorre preliminarmente precisare che nell’ambito della disciplina dei contratti pubblici tradizionalmente si adotta lo schema logico e cronologico, nel quale si succedono le sequenze caratterizzate da un differente regime giuridico:
la fase di scelta del contraente (detta fase “iure imperii” o “pubblicistica”) e quella di esecuzione del contratto (detta fase “iure privato rum” o “privatistica”).
Nella fase c.d. pubblicistica l’amministrazione agisce secondo moduli autoritativi (nell’ambito del “procedimento” selettivo ad evidenza pubblica), disciplinati dal diritto interno, in conformità alle direttive europee e retto dai principi di concorrenza e favor partecipationis, non discriminazione e par condicio, trasparenza e pubblicità, proporzionalità ed economicità.
Giova precisare, ad ogni buon conto, che per statuizione dell’art. 1 comma 1-bis della L.241/1990
“La pubblica amministrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente”.
Ciò posto, il perimetro delle modalità e degli effetti che l’attività “emendativa” della P.A. produce rispetto alla correzione di vizi ed imperfezioni dell’atto e del provvedimento qualora gli stessi dovessero risultare colpiti da un c.d. errore materiale (per sua natura non incidente sulla finalità e sulla sostanza della volontà rappresentata dalla P.A.), si appalesano come doverosi, necessari e funzionali alla migliore realizzazione dell’interesse collettivo e, pertanto, non altrimenti procrastinabili e ineludibili.
L’autotutela amministrativa ed il potere di riesame dei provvedimenti amministrativi
In via immediata, nella situazione che qui interessa, si precisa che la procedura dell’autotutela degli atti amministrativi trova fondamento e “ratio” nella opportunità data alla P.A., qualora si dovesse rendere conto che il suo operato risulti viziato, di procedere alla correzione, con procedura “agile” e non “contenziosa”, ponendo in essere iniziative autonome finalizzate ad annullare o a correggere l’atto, nell’interesse generale.
Tale attività di revisione successiva dell’operato della P.A. si distingue in:
- autotutela esecutiva, qualora ilpotere esercitato si manifesti unilateralmente e, se necessario, coattivamente e quindi contro la volontà del destinatario e senza dover ricorrere all’autorità giurisdizionale;
- autotutela decisoria, consistente nel potere della pubblica amministrazione di riesaminare, senza l’intervento del giudice, i propri atti sul piano della legittimità, al fine di confermarli, modificarli o annullarli.
In estrema sintesi, nell’ambito dell’autotutela decisoria, l’attività di riesame determina un procedimento di secondo grado, anche ad iniziativa d’ufficio, riferito ad un provvedimento (di primo grado) già emanato.
I provvedimenti conseguenti (c.d. secondo grado) hanno effetti retroattivi dal momento in cui i provvedimenti di primo grado sono divenuti efficaci.
Delimitando il campo di indagine, l’effetto conservativo, realizzato attraverso gli istituti della convalida, ratifica, sanatoria, conversione, riforma, rinnovazione, proroga e della rettifica, determina la conseguenza di conservare il provvedimento di primo grado eliminando i relativi vizi.
I provvedimenti di riesame a carattere conservativo. La rettifica dell’errore materiale: limiti e contenuto.
Nello svolgimento dell’attività di riesame, alla pubblica amministrazione è riconosciuta la possibilità di adottare provvedimenti “di secondo grado”, attraverso la c.d. “autotutela decisoria”, consistente nella modifica, l’annullamento o la revoca di un proprio provvedimento, già adottato, conservando, al contempo, l’originario provvedimento (tutto ciò, in primis, in applicazione del più trasversale principio di conservazione degli atti giuridici).
Peraltro, la natura dell’intervento di correzione degli errori materiali presenti nel documento amministrativo determina un esito conservativo mediante l’adozione dì un rimedio con funzione “sanante” dai vizi che lo affliggevano.
La riferita esigenza di salvaguardare la validità e l’efficacia degli atti compiuti si esplica nel potere di revisione degli atti adottati sotto il profilo della legittimità o dell’opportunità al fine di assicurarne la costante rispondenza al pubblico interesse assegnato dalla legge.
Orbene, tra i procedimenti ad esito conservativo, specifico interesse riveste l’istituto della rettifica con riferimento alla correzione dell’errore materiale, precisando, per completezza, che con tale espressione si individuano anche le omissioni, gli errori di calcolo, le sviste, le dimenticanze e le imprecisioni formali (id est, il c.d.“lapsus calami”, ossia in una momentanea disattenzione del redattore che diviene, in maniera lampante, intellegibile al lettore).
Il Consiglio di Stato, Sez. VI, Sent. 05 marzo 2014, n.1036 analizza gli elementi costitutivi dell’istituto della rettifica precisando che lo stesso:
”…consiste nella eliminazione di errori ostativi o di errori materiali in cui l’amministrazione sia incappata, di natura non invalidante ma che diano luogo a mere irregolarità. Affinché ricorra un’ipotesi di errore materiale in senso tecnico-giuridico, occorre che esso sia il frutto di una svista che determini una discrasia tra manifestazione della volontà esternata nell’atto e volontà sostanziale dell’autorità emanante, obiettivamente rilevabile dall’atto medesimo e riconoscibile come errore palese secondo un criterio di normalità, senza necessità di ricorrere ad un particolare sforzo valutativo e/o interpretativo, valendo il requisito della riconoscibilità ad escludere l’insorgenza di un affidamento incolpevole del soggetto destinatario dell’atto in ordine alla corrispondenza di quanto dichiarato nell’atto a ciò che risulti effettivamente voluto. Né alla rettifica si può far luogo oltre un congruo limite temporale, onde non pregiudicare la certezza dei rapporti, specie in caso di incidenza pregiudizievole sulla situazione giuridica del destinatario dell’atto”.
Coerente con la pronuncia suddetta, il TAR Emilia-Romagna, Bologna, II, 14.6.2017, n. 446 precisa:
“Saldamente ancorata al principio di conservazione degli atti giuridici, la rettifica consiste nell’attività con la quale l’amministrazione corregge un proprio provvedimento affetto da irregolarità contenutistiche non invalidanti. La regolarizzazione effettuata attraverso la rettifica opera retroattivamente sanando un mero errore materiale in cui è incorsa l’autorità decidente e non richiede l’applicazione del principio del contrarius actus, non configurandosi ulteriore attività valutativa. L’assenza di esercizio di potere decisionale ulteriore legittima l’utilizzo dell’istituto anche in corso di giudizio, per sanare, ad esempio, un errore presente nell’intestazione, nell’indicazione di alcuni elementi del provvedimento o nella motivazione. A tale proposito, tuttavia, la giurisprudenza ha chiarito che può qualificarsi rettifica in senso proprio solo la correzione di dati del provvedimento affetti da un difetto di esternazione laddove «non si è in presenza di errore materiale quando la relativa correzione implica nuove operazioni che esulano dal campo della mera rettifica, come nel caso di modifica in senso peggiorativo della motivazione degli atti a suo tempo compilati, con l’intento di giustificare in via postuma l’operato”.
In buona sostanza, affinchè in senso tecnico-giuridico si manifesti la fattispecie dell’errore materiale, occorre che lo stesso sia il frutto di una svista che determini una discrasia tra manifestazione della volontà esternata nell’atto e la volontà sostanziale dell’autorità emanante, obiettivamente rilevabile dall’atto medesimo e riconoscibile come errore palese secondo un criterio di normalità “senza necessità di ricorrere ad un particolare sforzo valutativo e/o interpretativo”.
Ulteriore supporto ermeneutico e sostanziale è contenuto nella Consiglio di Stato Sezione II Sentenza 4 giugno 2020, n. 3537 che rassegna alcuni interessanti passaggi ermeneutici e sostanziali:
“…Il provvedimento di rettifica…ha natura di atto di autotutela (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, 13 dicembre 2010, n. 36323) e dunque ne è corretta la qualificazione come “di secondo grado” in quanto va ad incidere su un sottostante provvedimento. Esso, tuttavia, si caratterizza per il suo fondarsi su un errore che non attiene all’accertamento dei presupposti dell’agire dell’amministrazione, all’interpretazione della disciplina applicabile alla fattispecie, ovvero all’esercizio dell’eventuale discrezionalità; bensì consiste nella mera errata trasposizione nel provvedimento della volontà dell’amministrazione, per come risultante dallo stesso atto. …D’altro canto, la mera correzione di errori materiali non implica, per sua natura, alcuna ponderazione di interessi, non essendo astrattamente configurabile un’esigenza pubblica alla conservazione di un atto a contenuto errato (sul punto cfr. T.A.R. Lazio, sez. II, 5 marzo 2020, n. 2990). I principi in questione sono a tal punto immanenti all’ordinamento giuridico che il legislatore impone persino al giudice di intervenire sui propri provvedimenti in presenza di un’istanza di correzione di errore materiale, senza che ciò determini alcuna violazione del divieto del ne bis in idem (cfr., per il processo amministrativo, l’art. 86 c.p.a.). Mutuando peraltro le risultanze giurisprudenziali cristallizzatesi proprio in ambito giudiziario, può affermarsi che sussistono gli estremi di un errore materiale quando ci si trovi di fronte ad «una inesattezza o svista accidentale rilevando una discrepanza tra la volontà del giudicante e la sua rappresentazione, chiaramente riconoscibile da chiunque e che è rilevabile dal contesto stesso dell’atto» (C.d.S., sez. III, 5 agosto 2011, n. 4695). …La natura doverosa della rettifica…, impone peraltro solo che la motivazione dia conto dell’errore di fatto commesso (T.A.R. Calabria, sez. II, 9 maggio 2014, n. 699)… …Inquadrata dunque la rettifica che sia effettivamente tale nell’ambito di quei particolari provvedimenti di secondo grado connotati dall’avere tipicamente ad oggetto l’eliminazione di un errore materiale, gli eventuali vizi formali e/o procedurali dai quali essa risulti affetta non possono che ricadere nel paradigma automaticamente conformativo, anziché caducatorio, declinato nel primo alinea del comma 2 dell’art. 21-octies della l. n. 241/1990, senza che sia richiesta alcuna allegazione aggiuntiva da parte dell’Amministrazione procedente”.
Ad adiuvandum, con risalente pronuncia del T.A.R. Lazio Latina, Sez. I, 17 Luglio 2013, n.644, si delineano i limiti e le caratteristiche del provvedimento di rettifica precisando che:
“…La giurisprudenza è, infatti, costante nell’affermare che la rettifica è il provvedimento mediante cui, di regola, viene eliminato l’errore materiale in cui è incorsa l’Autorità emanante nella determinazione del contenuto del provvedimento (cfr., ex multis, T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. II, 8 ottobre 2012, n. 1973). Invero, la rettifica, quale provvedimento di secondo grado volto alla semplice correzione di errori materiali o di semplici irregolarità involontarie (cfr. T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. II, 13 luglio 2012, n. 1548), si distingue profondamente dall’annullamento d’ufficio e dalla revoca, non avendo natura di vero e proprio provvedimento di riesame e non essendo assoggettato alla disciplina di cui all’art. 21-nonies della l. n. 241/1990, in quanto:
a) non riguarda atti affetti da vizi di merito o di legittimità e non presuppone alcuna valutazione, più o meno discrezionale, in ordine alla modifica del precedente operato della P.A. (cfr. T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. II, n. 1548/2012, cit.), anzi secondo parte della giurisprudenza, ha natura doverosa, in luogo della discrezionalità insita nel potere di annullamento d’ufficio (T.A.R. Calabria, Catanzaro, 7 luglio 1988, n. 297);
b) non coinvolge la valutazione dell’interesse pubblico sotteso all’emanazione del provvedimento di primo grado (cfr. T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. II, n. 1973/2012, cit.);
c) non comporta nessuna valutazione tra l’interesse pubblico e quello privato sacrificato (cfr. T.A.R. Trentino Alto Adige, Bolzano, Sez. I, 19 luglio 2009, n. 271);
d) non richiede una motivazione rigorosa (T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. II, n. 1973/2012, cit.);
e) si distingue, altresì, dalla regolarizzazione e dalla correzione, le quali, normalmente, comportano l’integrazione dell’atto (T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. II, n. 1548/2012, cit.)”.
In relazione a quanto precede, individuati i limiti dell’esercizio del potere di rettifica con riferimento alla correzione di errori materiali, è possibile, in relazione ai fini pubblicistici che connotano l’attività negoziale della P.A., adottare provvedimenti di correzione di errori materiali nei documenti propedeutici e conseguenti all’affidamento di lavori, servizi e forniture.
Conclusivamente, la correzione dell’errore materiale, manifestatosi nei provvedimenti concernenti l’attività negoziale della P.A., può e deve percorrere tutte le possibilità che conducono funzionalmente all’acquisizione del lavoro, bene o servizio, senza indugi che siano collegati alla commissione di meri errori di scritturazione, di calcolo o di omissione;
elementi questi ultimi non incidenti sulla volontà effettiva della P.A. stazione appaltante.
Il tutto con logica rispettosa dei recenti approdi normativi concernenti il raggiungimento del risultato, coniugato con i principi di legalità, trasparenza e concorrenza (Cfr. Art.1 del D.Lgs.36/2023).